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venerdì 18 febbraio 2011

Il Giornale - Quei guru tromboni che annunciavano i radiosi successi di Fini

 

Gianfranco Fini si stropiccia gli occhi per lo stress accumulato 

dopo il terremoto che ha colpito FLI  conseguente alla fuga di

parecchi senatori 

 

Politologi, filosofi, giornalisti, sondaggisti, docenti riempivano 

di lodi Fini e il suo nascente Fli. 

Ma ora il progetto del presidente della Camera 

si è rivelato per quello che è.

E i suoi declamatori sono diventati dei tromboni sbugiardati

 

di  Alessandro Gnocchi

Gianfranco Fini e il suo partito hanno un grande avveni­re dietro le spalle. Mentre Futuro e libertà si disintegra, senatore dopo senatore, deputato dopo deputato, è inevitabile pen­sare alle raffinate analisi di politologi e commentato­ri. I quali, dopo aver guar­dato nella sfera di cristallo, avevano annunciato al vol­go: il domani appartiene al presidente della Camera. Concordi le analisi. Se­condo Eugenio Scalfari, Fi­ni stabiliva «un importan­te passo avanti per il no­s­tro Paese e la fine dell’ano­malia berlusconiana». Massimo Cacciari elogia­va il superamento degli steccati e sentenziava: «Il Pdl non sta in piedi, per questo guardo a Fini». An­che Pierluigi Battista, di so­lito prudente, si sbilancia­va: dopo aver sottolineato «il drammatico errore di Berlusconi», sottolineava come «il partito che Fini ha fatto nascere a Perugia» ap­parisse «invece come una forza politica vera, proie­zione di un’anima autenti­ca del centrodestra italia­no ».
Insomma, solo l’ex lea­der di An, affiancato dai cervelloni di Farefuturo, aveva la ricetta giusta per un’altra destra: responsa­bile, libertaria, moderna, aperta al dialogo. Soprat­tutto antiberlusconiana. Di fronte a quest’ultimo dettaglio, i giornali nemici, come Repubblica , di pun­to in bianco divennero amici. A lungo anche il Cor­riere della Sera e il Sole-24 ore strizzarono l’occhio con simpatia. Accorsero professori, registi, cinema­tografari dell’altra sponda politica: da Giulio Giorello a Giacomo Marramao pas­sando per Moni Ovadia.


La Rcs libri, guidata da Pao­lo Mieli, pubblicò il manife­sto-Il futuro della libertà fir­mato da Gianfranco Fini. Poi venne il Terzo Polo e fu subito descritto dagli «esperti» come la casa de­gli autentici moderati. I gu­ru dei sondaggi, a canali unificati, diedero la lieta novella: l’alleanza tra Fini, Casini e Rutelli era destina­t­a a erodere il bacino eletto­rale della maggioranza. In costante crescita il consen­so: 13 per cento, 18 per cen­to, 22 per cento a Ballarò nel novembre 2010. Gradi­mento personale per Fini alle stelle.


Un entusiasmo popolare di cui non si è vi­sta traccia nel recente con­gresso di Futuro e Libertà celebrato a Milano. Già. Perché nel frattempo, senza chiedere il permesso ai politologi, il progetto ha mostrato la sua vera faccia. I paroloni spesi nei mesi passati si sono rivelati sproporzionati rispetto all’offerta politica, riassumibile quasi unicamente nel giustizialismo manettaro (che dovrebbe fare orrore a chi si proclama libertario, sia a destra sia a sinistra).


In quanto al pluralismo del nuovo schieramento, quando lo storico Alessandro Campi e la politologa Sofia Ventura hanno osato esprimere dissenso per la linea del partito, o meglio per la sua assenza, sono stati zittiti da Farefuturo. Le contraddizioni di Futuro e libertà sono esplose. Che senso ha un partito in cui dovrebbero convivere liberali (pochi) e statalisti (molti), superlaici e cattolici? Nessuno. Che successo può avere un partito di destra che fa la guerra a un governo amico e cerca sponda a sinistra? Nessuno. E infatti dopo la débâcle del 14 dicembre scorso, giorno in cui il governo ha ottenuto la fiducia ratificando l’irrilevanza dei finiani, Futuro e libertà si è sfasciato. Si poteva prevedere? Sì. Gli «esperti» però non si curano di dettagli come la realtà che hanno davanti agli occhi. 

Da www.ilGiornale.it  del 18 Febbraio 2011

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