È soprattutto nel Cinquecento che i papi tendevano ad applicare, senza ritegno alcuno, il privilegio, per incarichi di ogni genere, a persone legate alla loro famiglia, in molti casi parenti stretti. Il nepotismo imperava riuscendo poi a valicare le mura del Vaticano per raggiungere i diversi gangli della società laica d’Oltretevere. Poco per volta, da Roma, il privilegio scese e risalì la Penisola e il favorire i parenti non fu più soltanto cosa riservata ai pontefici. La politica si impadronì dei “favori” e i tanti figli, fratelli e nipoti dei potenti trovarono facile collocazione in Istituti di rilievo diventando, poco per volta, a loro volta nepotisti.
Pensandoci bene e guardandoci intorno ci accorgiamo che l’esportazione di tanti nepoti, variante letteraria o popolare di nipote, è iniziata, anche per Alassio, in maniera consistente, da molti anni.
Oggi si grida agli scandali della Seconda Repubblica dimenticando quelli della Prima, ma chi ha buona memoria non potrà certo cancellare i tanti famigliari entrati in Comune grazie ai buoni uffici di padri, suoceri, cognati, fratelli, zii e amanti. Erano gli anni del potere locale affidato, alternativamente, alle destre, al centro, ed alle sinistre.
C’è stato anche il governo di ”salute pubblica” con democristiani consenzienti a fare alleanze con l’allora Pci, ma anche ex socialisti diventati autonomi che per ottenere poltrone distribuivano sedie. Gli anni sono trascorsi inesorabili e moglie e figli di notabili o pseudo tali, hanno trovato collocazione negli uffici della casa comune garantendosi stipendi, seppur non esagerati, ma sufficienti per garantire dignità di sopravvivenza.
Sono state assunte moglie e figli di consiglieri comunali, cugini e, qualche volta, anche generi.
Malcostume? Inezie direbbe qualcuno.
Ma era la Prima Repubblica fatta dagli uomini e dalle donne della ricostruzione che in qualche modo dovevano trovare posti per non finire nel dimenticatoio. E le regole del potere non trovarono intoppi fino a quando scoppiò tangentopoli.
Arrivarono i “nuovi ideali”, ma guarda caso, gli uomini furono e sono sempre gli stessi con uguali difetti. Ma pochi, purtroppo si scandalizzano e giustificano le nuove forme di nepotismo con «gli enti pubblici assumo solo per concorso. Saranno bravi…».
Così occorre la solita e disgustosa lettera anonima per far aprire gli accertamenti su padri amorosi che, per evitare la fatica di troppi concorsi, aprono direttamente la porta delle Istituzioni pubbliche per evitare traumi ai loro pargoli.
«Freghiamocene degli altri, l’importante è che i Nostri siano sistemati ». E i loro figli diventano specialisti in spettacoli, parcheggi, carte d’identità, servizi sociali, approvvigionamento idrico, sanità, navigazione, protezione civile e altro.
Poveri tapini, miei cari giovani figli di gente normale, di padri e madri che con la politica del Palazzo nulla hanno da spartire: studiate, laureatevi, fate concorsi, cercate, senza arrendervi, un posto di lavoro. Se la volontà di essere occupati con tanto di stipendio dovesse naufragare allora sperate che vostro padre, vostro zio o zia, piuttosto che vostro nonno diventino candidati o supporter di qualche politicante.
Loro entreranno nelle stanze dei bottoni, voi, forse, dietro la scrivania di un ufficio pagato dalla collettività.
Da L'Alassino del 19 dicembre 2006 - "L' Angolo" di Daniele La Corte, nota firma del giornalismo contemporaneo
Pensandoci bene e guardandoci intorno ci accorgiamo che l’esportazione di tanti nepoti, variante letteraria o popolare di nipote, è iniziata, anche per Alassio, in maniera consistente, da molti anni.
Oggi si grida agli scandali della Seconda Repubblica dimenticando quelli della Prima, ma chi ha buona memoria non potrà certo cancellare i tanti famigliari entrati in Comune grazie ai buoni uffici di padri, suoceri, cognati, fratelli, zii e amanti. Erano gli anni del potere locale affidato, alternativamente, alle destre, al centro, ed alle sinistre.
C’è stato anche il governo di ”salute pubblica” con democristiani consenzienti a fare alleanze con l’allora Pci, ma anche ex socialisti diventati autonomi che per ottenere poltrone distribuivano sedie. Gli anni sono trascorsi inesorabili e moglie e figli di notabili o pseudo tali, hanno trovato collocazione negli uffici della casa comune garantendosi stipendi, seppur non esagerati, ma sufficienti per garantire dignità di sopravvivenza.
Sono state assunte moglie e figli di consiglieri comunali, cugini e, qualche volta, anche generi.
Malcostume? Inezie direbbe qualcuno.
Ma era la Prima Repubblica fatta dagli uomini e dalle donne della ricostruzione che in qualche modo dovevano trovare posti per non finire nel dimenticatoio. E le regole del potere non trovarono intoppi fino a quando scoppiò tangentopoli.
Arrivarono i “nuovi ideali”, ma guarda caso, gli uomini furono e sono sempre gli stessi con uguali difetti. Ma pochi, purtroppo si scandalizzano e giustificano le nuove forme di nepotismo con «gli enti pubblici assumo solo per concorso. Saranno bravi…».
Così occorre la solita e disgustosa lettera anonima per far aprire gli accertamenti su padri amorosi che, per evitare la fatica di troppi concorsi, aprono direttamente la porta delle Istituzioni pubbliche per evitare traumi ai loro pargoli.
«Freghiamocene degli altri, l’importante è che i Nostri siano sistemati ». E i loro figli diventano specialisti in spettacoli, parcheggi, carte d’identità, servizi sociali, approvvigionamento idrico, sanità, navigazione, protezione civile e altro.
Poveri tapini, miei cari giovani figli di gente normale, di padri e madri che con la politica del Palazzo nulla hanno da spartire: studiate, laureatevi, fate concorsi, cercate, senza arrendervi, un posto di lavoro. Se la volontà di essere occupati con tanto di stipendio dovesse naufragare allora sperate che vostro padre, vostro zio o zia, piuttosto che vostro nonno diventino candidati o supporter di qualche politicante.
Loro entreranno nelle stanze dei bottoni, voi, forse, dietro la scrivania di un ufficio pagato dalla collettività.
Da L'Alassino del 19 dicembre 2006 - "L' Angolo" di Daniele La Corte, nota firma del giornalismo contemporaneo
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