La palazzina di Montecarlo ove si trova l'alloggio oggetto dello scandalo
Nel mentre Claudio Scajola ancora cerca chi gli ha pagato la casa, Gianfranco Fini s’è dovuto mettere a cercare chi ha comprato l’appartamento di Montecarlo, lasciato in eredità al suo partito.
Rispetto al primo, aveva un indizio:
l’appartamento è occupato dal fratello della sua compagna, sicché oggi sappiamo che l’onorevole Fini ha avuto un moto di disappunto, quando lo ha appreso. Non c’è motivo di non credergli, il fatto è che i problemi sorgono proprio a credergli totalmente. E sono problemi relativi allo statuto e al patrimonio dei partiti politici.
Fini invoca le indagini della magistratura, sapendo bene che non andranno da nessuna parte, perché sfuggono i contorni di un eventuale reato.
A leggere la sua nota si apprendono tre cose significative:
a. la valutazione dell’appartamento non fu fatta da un’agenzia immobiliare;
b. a proporne la vendita non fu un dirigente di partito, ma un signore estraneo alla vita politica, la cui sorella è convivente del capo, oltre tutto la medesima persona che risulta abitare l’appartamento stesso;
c. il prezzo di vendita fu considerato congruo perché non inferiore a quello stimato. In altre parole: non fu il partito a mettere in vendita l’appartamento, non si consultarono immobiliaristi o si provò ad avere offerte, ma si accolse l’indicazione di chi avrebbe tratto il massimo beneficio dall’operazione, il cognato. Siccome così descritta (direttamente da Fini) è un’operazione dissennata, ne deriva che il partito ne ha avuto un danno patrimoniale.
E questo è il punto.
Il reato non c’è, o, almeno, non lo vedo, perché i partiti sono associazioni non riconosciute e il loro patrimonio non ha rilievo pubblico. La tutela dei loro interessi è affidata, in gran parte, agli organismi interni, quindi a quel minimo di collegialità che dovrebbe impedire l’uso del patrimonio per interessi meramente personali.
Il reato non c’è, o, almeno, non lo vedo, perché i partiti sono associazioni non riconosciute e il loro patrimonio non ha rilievo pubblico. La tutela dei loro interessi è affidata, in gran parte, agli organismi interni, quindi a quel minimo di collegialità che dovrebbe impedire l’uso del patrimonio per interessi meramente personali.
La democrazia interna ai partiti è l’unico argine all’amministrazione dispotica dei beni, non meno che della politica stessa. Il fatto è che mentre Fini reclama democrazia e articolazione, collegialità e trasparenza nella gestione di una coalizione divenuta partito, quelle stesse cose non le pratica manco per niente nel partito di cui è capo.
I partiti funzionavano, nella prima Repubblica, perché anche i più verticistici e centralistici avevano correnti vivaci e articolate, statuti che dovevano essere rispettati e istanze di controllo cui si poteva ricorrere, mentre oggi sono tutti sostanzialmente proprietari, privi di vita interna e strutturati per l’esaltazione del capo.
I partiti funzionavano, nella prima Repubblica, perché anche i più verticistici e centralistici avevano correnti vivaci e articolate, statuti che dovevano essere rispettati e istanze di controllo cui si poteva ricorrere, mentre oggi sono tutti sostanzialmente proprietari, privi di vita interna e strutturati per l’esaltazione del capo.
Taluni hanno il nome del proprietario nel simbolo, mentre tutti si giovano di un sistema elettorale che consente alle segreterie di scegliere gli eletti. Una volta i dirigenti, a cominciare dal segretario nazionale, dovevano lavorare per disporre del consenso degli iscritti e dei militanti, oggi sono questi ultimi a doversi ingraziare i capi, altrimenti se lo scordano di potere concorrere alle elezioni.
Una volta il patrimonio poteva essere in gran parte occulto (si pensi a quello dei comunisti, intestato massicciamente a dei prestanome e, quindi, mai comparso in alcun bilancio), ma se ne rispondeva in sedi collegiali, ora, invece, è considerato una disponibilità del capo-padrone, e non se ne risponde a nessuno, neanche ad una legge che non c’è.
Nella storia dell’appartamento monegasco c’è tutto questo, e i veri danneggiati sono soggetti apparentemente inesistenti: i militanti di un partito che non esiste più. Ma rivela un vuoto, normativo e morale.
Nella storia dell’appartamento monegasco c’è tutto questo, e i veri danneggiati sono soggetti apparentemente inesistenti: i militanti di un partito che non esiste più. Ma rivela un vuoto, normativo e morale.
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Pubblicato da Il Tempo
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