Pier Ferdinando Casini, al momento di alzarsi al mattino, guarda fuori della finestra. Nebbia, come sempre. Prende la bussola e cerca di orientarsi. Nel giro di tre mesi ha esaminato le tre situazioni possibili. In estate, quando ci fu la rottura con Gianfranco Fini, tentò di convincere Silvio Berlusconi a fare una crisi di governo per imbarcare l’Udc in un’ottica dichiarata di responsabilità nazionale. L’8 luglio, in una cena in casa mia organizzata per tutt’altra ragione, Maddalena Letta portò due ottime crostate, evocando il famoso patto che fu stretto in casa sua il 18 giugno 1997 tra Berlusconi, Fini, Franco Marini e Massimo D’Alema per una revisione della Costituzione e della legge elettorale sotto gli auspici della bicamerale. Dinanzi alle nuove crostate, Casini fu molto di spirito. Le tagliò con cura, ne distribuì le fette, ma il Cavaliere voleva che Casini entrasse con un semplice rimpasto di governo. E tutto saltò. Berlusconi non accettò la crisi, temendo di non controllarne gli sviluppi. Casini, quando ne abbiamo parlato, mi ha detto al contrario di essere certo che Giorgio Napolitano non avrebbe obiettato nulla sulla nuova alleanza e, paradossalmente, non lo farebbe nemmeno oggi se Berlusconi e Umberto Bossi andassero a dirgli che vogliono aprire una crisi per allearsi con Casini.
Ma intanto le convulsioni politiche italiane vanno avanti e, solo in caso di autoribaltone, cioè di crisi aperta dalla maggioranza, Casini accetterebbe un governo appoggiato da Fini, Francesco Rutelli, Antonio Di Pietro e Pier Luigi Bersani. Lo sta già preparando perché una gestazione del genere è complessa e il nuovo esecutivo «non dovrebbe occuparsi soltanto di legge elettorale, ma anche di provvedimenti economici e finanziari per l’emergenza che stiamo vivendo. Un programma chiaro e limitato, insomma».
Un governo a metà strada fra il tecnico e il politico, presieduto verosimilmente da Beppe Pisanu (anche se Casini non ne fa apertamente il nome per non bruciarlo) e composto da personalità politicamente riconoscibili, ma meno «ministeriali» di quelle dei governi ordinari.
All’obiezione che non è facile mettere d’accordo teste tanto diverse su fisco, lavoro, scelte economiche, legge elettorale, Casini, come del resto Bersani, risponde di non vedere troppe difficoltà. Vorrebbe un accordo «blindato» sull’economia e pensa che, come per incanto, al momento della crisi tutte le insanabili divergenze che finora hanno sempre impedito all’opposizione di proporre una legge elettorale diversa dell’attuale cadrebbero «in dieci minuti».
La terza ipotesi, quella di «ballare da solo», in questo momento sarebbe limitata a una chiusura traumatica della legislatura e a elezioni anticipate. A meno che non maturasse un’alleanza elettorale con Rutelli e anche con Fini perché Casini sostiene di avere fatto sempre prevalere le scelte politiche sulle questioni personali. E si sa che dopo la rottura del 2008 i rapporti tra Casini e Fini non erano al meglio.
Come andrà a finire? Casini si sente uomo del centrodestra e le recenti mosse del Pd, ultima il sostegno alla manifestazione della Fiom, gli fanno escludere di poter fare con Bersani e Di Pietro un’alleanza che non fosse provvisoria e dettata dall’emergenza. Domani chissà. Lo vedremo tornare a destra in un ipotetico dopo Berlusconi o con un Berlusconi convertito o scivolare lentamente a sinistra? Pier, da vecchio democristiano, vuole prudentemente restare fedele a se stesso ed evitare, soprattutto, che gli diano del traditore.
Ma intanto le convulsioni politiche italiane vanno avanti e, solo in caso di autoribaltone, cioè di crisi aperta dalla maggioranza, Casini accetterebbe un governo appoggiato da Fini, Francesco Rutelli, Antonio Di Pietro e Pier Luigi Bersani. Lo sta già preparando perché una gestazione del genere è complessa e il nuovo esecutivo «non dovrebbe occuparsi soltanto di legge elettorale, ma anche di provvedimenti economici e finanziari per l’emergenza che stiamo vivendo. Un programma chiaro e limitato, insomma».
Un governo a metà strada fra il tecnico e il politico, presieduto verosimilmente da Beppe Pisanu (anche se Casini non ne fa apertamente il nome per non bruciarlo) e composto da personalità politicamente riconoscibili, ma meno «ministeriali» di quelle dei governi ordinari.
All’obiezione che non è facile mettere d’accordo teste tanto diverse su fisco, lavoro, scelte economiche, legge elettorale, Casini, come del resto Bersani, risponde di non vedere troppe difficoltà. Vorrebbe un accordo «blindato» sull’economia e pensa che, come per incanto, al momento della crisi tutte le insanabili divergenze che finora hanno sempre impedito all’opposizione di proporre una legge elettorale diversa dell’attuale cadrebbero «in dieci minuti».
La terza ipotesi, quella di «ballare da solo», in questo momento sarebbe limitata a una chiusura traumatica della legislatura e a elezioni anticipate. A meno che non maturasse un’alleanza elettorale con Rutelli e anche con Fini perché Casini sostiene di avere fatto sempre prevalere le scelte politiche sulle questioni personali. E si sa che dopo la rottura del 2008 i rapporti tra Casini e Fini non erano al meglio.
Come andrà a finire? Casini si sente uomo del centrodestra e le recenti mosse del Pd, ultima il sostegno alla manifestazione della Fiom, gli fanno escludere di poter fare con Bersani e Di Pietro un’alleanza che non fosse provvisoria e dettata dall’emergenza. Domani chissà. Lo vedremo tornare a destra in un ipotetico dopo Berlusconi o con un Berlusconi convertito o scivolare lentamente a sinistra? Pier, da vecchio democristiano, vuole prudentemente restare fedele a se stesso ed evitare, soprattutto, che gli diano del traditore.
Da www.Panorama.it del 02 Novembre 2010
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