La coppia: Elisabetta Tulliani - Gianfranco Fini (ndr: AlassioFutura)
L'ex amico: «I panni sporchi si lavano in famiglia,
ma se i pm mi chiamano dirò quello che so»
ROMA
Sedici minuti e diciassette secondi di tensione emotiva quasi insopportabile che accomunò in un salone d’albergo Gianfranco Fini e i suoi colonnelli. Era il 28 luglio di tre anni fa e davanti allo stato maggiore di Alleanza nazionale, Sergio Mariani spiegò il suo voto contrario al bilancio di An con argomenti molto espliciti («L’oggetto concordato per alcune fatture è falso») e concluse il suo discorso con una richiesta spiazzante: «Chiedo alla Assemblea nazionale di An di deferirmi al Collegio dei Probiviri...». Come dire: se ho detto bugie, non vi resta che denunciarmi. Nel salone dell’hotel Parco dei Principi, tra i capicorrente, grande fu lo sconcerto. Fini sorrise, qualcun altro disse «non è possibile» e Mariani continuò: «E allora, a norma dello Statuto, devo chiedere di denunciarmi al segretario provinciale di Roma...». Non accadde nulla. Nessun dirigente di An denunciò Mariani e l’indomani nessun giornale diede conto del suo intervento.
Ma quel discorso che sembrava destinato all’oblio, torna d’attualità. Soprattutto per un motivo: Sergio Mariani, sconosciuto al grande pubblico, è un personaggio nevralgico nella storia privata e pubblica della destra. Pochissimi, come lui, conoscono alcuni ex colonnelli di An, con i quali Mariani ha condiviso in gioventù “missioni” non sempre di stampo oxfordiano. Ma c’è qualcosa di più: Mariani è stato il primo marito di Daniela Di Sotto, la sanguigna militante che successivamente si innamorò di Gianfranco Fini e lo sposò. Il camerata Sergio reagì malissimo, sparandosi all’addome: allora, come oggi, Mariani era un duro, ma anche un uomo tutto d’un pezzo, per lui «onore e rispetto» restano valori assoluti. Uno spessore umano che ha impedito a quelli che avrebbero preferito rimuoverlo, di recidere i legami con lui. E infatti in privato Mariani continua a parlare senza ipocrisie con tutte le “parti”: il suo ex rivale Fini, ma anche la ex moglie di entrambi, Daniela.
E proprio loro due - Sergio e Daniela - più di 30 anni fa gli iniziatori di una lunga storia di amori e di voltafaccia, in questi giorni sono ricercatissimi dai giornali, affamati di gossip e di vetriolo. Ma i due si negano. Daniela, dopo la separazione da Fini, si è chiusa in un riserbo che i critici della sua verve romanesca non avrebbero mai immaginato. Ma a Mariani è naturale chiederlo: perché quel triplice “no” all’approvazione degli ultimi tre bilanci di An dal 2005 al 2007? Oltre alla casa di Montecarlo, ci sono forse altri beni dell’eredità Colleoni o del patrimonio missino, di cui hanno goduto in forme diversi altri dirigenti del partito? Mariani è un muro: «Non ho alcuna intenzione di fare dichiarazioni su questo argomento. Oggi, come allora, resto dell’idea che i panni sporchi si lavano in famiglia». Ma se fosse il magistrato che indaga su Montecarlo a chiederle le ragioni delle sue perplessità? «Se fosse l’autorità giudiziaria a interpellarmi, non potrei tirarmi indietro. Con spirito di verità».
Tra chi viene da An, nessuno mette in discussione la probità del garante degli ultimi bilanci, il senatore Franco Pontone, un gentiluomo napoletano d’altri tempi che non ha mai avuto l’autoblù, che si muove in treno e ripete spesso una frase: «L’unico patrimonio che lascerò a mia figlia è il mio onore». Una cosa è certa: gli ultimi bilanci di An sono stati approvati all’unanimità, la prova che nel partito di Fini c’è stata sempre una gestione collegiale delle questioni finanziarie, compresa quella che ha riguardato la casa di Montecarlo. E’ proprio questa collegialità che spiega la prudenza degli ex colonnelli? Italo Bocchino, capofila dei finiani, scuote la testa: «No, la gestione dei bilanci è sempre stata molto scrupolosa e rigida».
Ma quel discorso che sembrava destinato all’oblio, torna d’attualità. Soprattutto per un motivo: Sergio Mariani, sconosciuto al grande pubblico, è un personaggio nevralgico nella storia privata e pubblica della destra. Pochissimi, come lui, conoscono alcuni ex colonnelli di An, con i quali Mariani ha condiviso in gioventù “missioni” non sempre di stampo oxfordiano. Ma c’è qualcosa di più: Mariani è stato il primo marito di Daniela Di Sotto, la sanguigna militante che successivamente si innamorò di Gianfranco Fini e lo sposò. Il camerata Sergio reagì malissimo, sparandosi all’addome: allora, come oggi, Mariani era un duro, ma anche un uomo tutto d’un pezzo, per lui «onore e rispetto» restano valori assoluti. Uno spessore umano che ha impedito a quelli che avrebbero preferito rimuoverlo, di recidere i legami con lui. E infatti in privato Mariani continua a parlare senza ipocrisie con tutte le “parti”: il suo ex rivale Fini, ma anche la ex moglie di entrambi, Daniela.
E proprio loro due - Sergio e Daniela - più di 30 anni fa gli iniziatori di una lunga storia di amori e di voltafaccia, in questi giorni sono ricercatissimi dai giornali, affamati di gossip e di vetriolo. Ma i due si negano. Daniela, dopo la separazione da Fini, si è chiusa in un riserbo che i critici della sua verve romanesca non avrebbero mai immaginato. Ma a Mariani è naturale chiederlo: perché quel triplice “no” all’approvazione degli ultimi tre bilanci di An dal 2005 al 2007? Oltre alla casa di Montecarlo, ci sono forse altri beni dell’eredità Colleoni o del patrimonio missino, di cui hanno goduto in forme diversi altri dirigenti del partito? Mariani è un muro: «Non ho alcuna intenzione di fare dichiarazioni su questo argomento. Oggi, come allora, resto dell’idea che i panni sporchi si lavano in famiglia». Ma se fosse il magistrato che indaga su Montecarlo a chiederle le ragioni delle sue perplessità? «Se fosse l’autorità giudiziaria a interpellarmi, non potrei tirarmi indietro. Con spirito di verità».
Tra chi viene da An, nessuno mette in discussione la probità del garante degli ultimi bilanci, il senatore Franco Pontone, un gentiluomo napoletano d’altri tempi che non ha mai avuto l’autoblù, che si muove in treno e ripete spesso una frase: «L’unico patrimonio che lascerò a mia figlia è il mio onore». Una cosa è certa: gli ultimi bilanci di An sono stati approvati all’unanimità, la prova che nel partito di Fini c’è stata sempre una gestione collegiale delle questioni finanziarie, compresa quella che ha riguardato la casa di Montecarlo. E’ proprio questa collegialità che spiega la prudenza degli ex colonnelli? Italo Bocchino, capofila dei finiani, scuote la testa: «No, la gestione dei bilanci è sempre stata molto scrupolosa e rigida».
Fabio Martini
Da www.laStampa.it del 12 Agosto 2010
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